Si potrebbe immaginare che un organismo giovane funzioni come un’orchestra capace di suonare una melodia in modo impeccabile e che, al contrario, invecchiare sia un po’ come perdere il direttore e finire con l’avere una serie di musicisti che suonano in modo via via più scoordinato. Tutti invecchiamo ma con tempi, modalità ed effetti molto diversi.
Alcune persone già a sessant’anni soffrono le conseguenze di patologie degenerative, mentre altri alla stessa età sono ancora del tutto atletici e in forma. Alcuni arrivano a cento anni in buona forma, altri interrompono la loro corsa molto prima.
Da decenni gli scienziati si sforzano di arrivare ad una teoria unitaria dell’invecchiamento, ma ancora nessuno è riuscito a comprendere del tutto un processo che risulta molto più complesso della somma delle sue parti.
Uno dei concetti rilevanti sul piano pratico, e su cui gli scienziati concordano, è che esiste una differenza tra età anagrafica ed età biologica. In sostanza il tempo che passa non corrisponde in modo preciso al livello di degrado dell’organismo. Per questo motivo due persone della stessa età possono apparire e funzionare in modalità molto differenti tra loro.
A generare questa differenza non sono tanto le caratteristiche genetiche individuali quanto gli stili di vita e le abitudini differenti. Infatti anche due gemelli identici che vivono una vita opposta in termini di abitudini e scelte salutari, svilupperanno livelli di salute molto differenti pur condividendo il medesimo DNA.
La mia esperienza come medico degli astronauti mi ha permesso di osservare in modo diretto l’invecchiamento accelerato che colpisce gli equipaggi che permangono a lungo in orbita e di comprendere quanto importanti siano le contromisure messe in atto per rallentare il processo: nutrizione, integrazione alimentare, allenamento fisico e gestione dello stress.
Già nel 1882 il biologo tedesco August Weismann suggerì che il logorio è uno dei concetti basilari per definire l’invecchiamento. Esiste un’usura metabolica e strutturale causata dall’accumulo di tossine, di radicali liberi, di citochine infiammatorie che porta ad una perdita di funzionalità prima delle cellule e poi dei tessuti e degli organi. Paradossalmente i danni possono accumularsi per inutilizzo di certi tessuti, come accade per esempio negli astronauti o nella sedentarietà, o per eccesso di utilizzo come può avvenire in chi pratica sport di alta durata e non calibra bene il rapporto tra allenamento e recupero.
Oggi si parla di carico allostatico, una condizione causata dallo stress di origine psicofisica e che incide negativamente sul logorio, sull’invecchiamento e sulla capacità di adattamento dell’organismo.
Sappiamo bene che negli anni l’aspettativa di vita è aumentata in modo significativo. Sempre più persone vivono a lungo ed è sotto gli occhi di tutti che un cinquantenne di oggi poco ha in comune con il coetaneo di qualche decade fa. Questa per certi aspetti è tuttavia una lettura superficiale della situazione. Oggi per la prima volta l’aumento dell’aspettativa di vita sembra rallentare e soprattutto non coincide con un aumento della vita in salute. In pratica si invecchia di più, grazie ad una medicina sempre più avanzata si vive più a lungo ma, a causa di uno stile di vita errato, ci ammaliamo presto e così aumentano di fatto gli anni di malattia.
Gli esperti parlano di HALE, ossia di Health Adjusted Life Expectancy (aspettativa di vita in salute) e sottolineano come questo dato purtroppo non stia aumentando, ma semmai tenda a diminuire.
La soluzione è semplice: intervenire il prima possibile nel corso della vita di una persona sulle sue abitudini. Curare l’alimentazione, aumentare i livelli di attività fisica, usare integratori in modo intelligente e ridurre i livelli di stress sono le regole base per costruire uno stile di vita sano. Questo, a sua volta, accoppiato con gli interventi medici eventualmente necessari, può cambiare significativamente il livello di salute anche in età avanzata.
Insomma l’obiettivo non è tanto aggiungere anni alla vita, ma aggiungere vita agli anni.
Nel 1980 il ricercatore americano James Fries dell’università di Stanford, pubblicò un importante lavoro sul prestigioso New England Journal of Medicine che si intitola “Invecchiamento, morte naturale e compressione della morbilità”. L’autore già allora sottolineava come sia necessario comprimere le malattie all’ultimissimo periodo di vita, vivendo così più anni in salute. La strategia è intervenire precocemente aiutando le persone a vivere in modo più salutare. È ora di passare dalle parole ai fatti e tutti, farmacisti in particolare, possono giocare un ruolo fondamentale in questo processo.
Fonte: Farmacisti Preparatori - Unifarco
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